Apple Pay, ecco come funziona



La tecnologia alla base del sistema di pagamenti è già realtà da tempo. Ecco perché a Cupertino pensano di poter cambiare le cose

 


Apple Pay, il tentativo di rivoluzionare il mondo dei pagamenti online e offline di Cupertino, sta facendo già discutere. La domanda in sostanza è: funzionerà? Per provare a prevederlo, bisogna prima capire come lavora.

I presupposti tecnologici per il funzionamento di Apple Pay in effetti sono già realtà da tempo. Da una parte il sensore di impronte digitali: Apple l’ha implementato per prima su uno smartphone di massa l’anno scorso, ma è stata seguita a ruota da diversi avversari, senza comunque che il sistema si evolvesse granché da un basilare metodo di sblocco del telefono (anche se le cose stanno cambiando). Dall’altra un chip Nfc: una tecnologia di comunicazione a brevissima distanza, adottata sugli altri smartphone da talmente tanto tempo che Apple si è beccata più di una critica per il suo incaponirsi nel non volerla utilizzare.

Adesso, con Pay, aggiungi la carta di credito ad iTunes e sei già pronto a fare acquisti: con il sensore ti identifichi e autorizzi la transazione, mentre con l’Nfc comunichi con il pos dell’esercente, tramite un codice monouso generato da un chip interno al telefono.

In questo modo le informazioni della carta di credito restano al sicuro.

Ma se la tecnologia c’era già, finora era mancato un modo efficiente di canalizzarla. È qui che entrano in gioco alcune competenze esclusive di Apple, che potrebbero fare la differenza rispetto ad altre proposte del mondo del mobile come Paypal, Visa Checkout e Google Wallet: un database che ad aprile contava 800 milioni di carte di credito già abilitate ai pagamenti su iTunes, un’interfaccia unica e semplice da usare e un’armata di 220mila negozi americani che aderiscono al servizio già al momento del lancio (oltre ad American Express, Visa, Mastercard e alcune tra le più importanti banche a stelle e strisce).